lunedì 27 maggio 2019


Recensione dopo la prima dello spettacolo LA SCARPA DI BAHAA



Di seguito, riportiamo una bellissima recensione dopo lo spettacolo.

Ciao ragazzi, volevo dedicarvi una piccola recensione del vostro spettacolo la cui prima in ARCI Scighera è stata presentata l'11 maggio.

“La scarpa di Bahaa”

Mettere sul palcoscenico le contraddizioni del presente non è facile, perché si rischia di scivolare nello scontato: siamo un in un’epoca talmente satura di parole e immagini, che ci vuole coraggio per provare a narrarla. Lo spettacolo “La scarpa di Bahaa” si ispira proprio da un preciso gesto di coraggio, che gli sceneggiatori e tutta la compagnia teatrale dei Distractors hanno incontrato nella storia di Bahaa Bakkar,.

Un attore come loro, un uomo come noi tutti, che è emigrato dall’Egitto in cerca di un futuro migliore, percorrendo migliaia di chilometri, attraversando paesi e il mar Mediterraneo e tutto ciò che i reportage raccontano della shoah del Mare Nostrum, e che magari sanno tutti. Ma che non si sa mai abbastanza. E Bahaa rappresenta la figura del migrante che come scrive Donatella Di cesare “ovunque è di troppo, è un intruso che fa saltare le barriere, suscita imbarazzo. Figura di transito, presenza al mondo fluida e instabile, il migrante, questo senza-luogo, così minacciosamente fuori-luogo, appare incontrollabile, sfuggente, evasivo e invasivo.”

Il coraggio di Bahaa è quello di mettere in gioco la propria vita, il proprio presente, affidandosi e credendo nel futuro e nelle sue opportunità: è lo stesso coraggio dell’umanità che l’ha portata a civilizzarsi e alla evoluzione contemporanea. Un coraggio che viene accantonato quando si ha paura. E quando si ha paura viene invocata la questione della sicurezza.

La trama prende lo spunto proprio da una questione di ordine pubblico: i narratori, Pasquale Pako Balzano e Carla Pavone, raccontano di un furto e dalla caccia al migrante in un normale paese dell’hinterland milanese, Balzanò di sotto. Intorno a questa piccola storia di cronaca, sul palco si avvicendano personaggi intrisi di luoghi comuni: del resto il luogo comune è un appiglio per chi non ha una visione universale della vita, una scorciatoia per chi non ha consapevolezza interiore e sociale. E questo vale anche per il sacerdote del paese, più interessato alla Gazzetta che al Vangelo, come se la sua funzione sociale si fosse secolarizzata nella volgarità quotidiana del bar di provincia. Intorno a lui individui che arrancano, ognuno alla ricerca di un pezzo di felicità o di notorietà: chi rivendica il presunto passato nobiliare come la contessa o chi insegue lo scoop giornalistico per brindare la celebrità di un articolo pubblicato (che verrà dimenticato il giorno dopo … ). Siamo nella precarietà esistenziale di un’era basata sulla velocità e sull’annullamento tecnologico del tempo: come fragili comparse del consorzio umano, i personaggi dello spettacolo snocciolano luoghi comuni che dissimulano la banalità del male, per difendersi da ciò che fanno fatica a capire, a comprendere e quindi in ultima analisi ad accogliere. Dimenticando che il peggio capita, come sempre, a quelli che non hanno da scegliere.

Un’epoca precaria in cui il “presente” è un rifugio nel qui e ora, per paura di un futuro che vede una società al tramonto. Per questo motivo forse, viene percepita come pericolosa la speranza disperata dei migranti appesi a credere in un futuro migliore, che come tale va rimossa e confinata: nel 1944 Adorno scriveva “la vita passata dell’emigrante è, come è noto, annullata. Una volta era il mandato di cattura, oggi, invece, è la cultura che viene dichiarata non trasferibile e totalmente estranea al carattere nazionale”.

La capacità di questo spettacolo è quello di riprendere il passato come valore comune di tutte le umanità, di tutte le storie nazionali, citando l’immigrazione italiana dal Sud al Nord degli anni 60, e quella epocale di milioni di italiani verso le Americhe. Mentre in strada si respira aria di rimozione del passato, “La scarpa di Bahaa” è un pezzo di memoria che dal palco immerge il pubblico, in un catino di sofferenze e di sradicamenti.

La nota editoriale è critica anche verso chi gestisce i centri di accoglienza, concentrato più alla copertura economica rispetto allo spirito di solidarietà, necessario collante per ogni società evoluta e democratica. Chi si salva allora dalla lente di questa sceneggiatura ?

Se l’immaginario collettivo è avvelenato, e i più deboli sono vittime e capri espiatori del fallimento di una società, l’unica salvezza è la poesia e la bellezza, che un onesto intervento artistico come questo prodotto collettivo dei Distractors.

Una curiosità finale: spesso succede che l’arte anticipa la realtà, o che comunque avverte dei segnali del tempo e li traduce in visioni.

Il reato di cui sarà accusato Bahaa nel corso dello spettacolo, è il furto delle offerte della chiesa, mentre è di questi giorni la notizia del gesto eroico dell’elemosiniere del Vaticano a supporto di un caseggiato di famiglie di indigenti a cui era stata tolta l’energia elettrica. E la visione che improvvisamente si staglia, è la sensazione di una risposta concreta al comportamento ambiguo e complice del razzismo strisciante del sacerdote di Balzanò di sotto.

Alessandro De Nando

19 maggio 2019

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